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Ho conosciuto Alessandro quasi 50 anni fa, e già allora era molto più grande di me!
Almeno così appariva, ai miei occhi di bambino, un po’ per quei 6 anni di differenza, un po’ per quella maturità che, con i suoi “modi da adulto”, si portava appresso sin da ragazzo… infatti, dagli amici era soprannominato “il vecchio”.
Lui sapeva fare tutto: giocava bene a tennis, intratteneva le folle con i suoi racconti, era un esperto di cucina e di vino, sapeva andare in moto, scriveva di teatro… ed anche poesie.
Leggendo questo racconto, ambientato nel 1958, cioè 25 anni prima del mio “ingresso al Castello”, ho ritrovato quella poesia con la quale Alessandro accompagnava spesso le sue storie; poi, l’amore per il vino, per il cibo e per la campagna… così intenso, che in alcuni momenti ne ho respirato i profumi a pieni polmoni.
Traspare, nella dolce narrazione della vecchiaia, una forma di rispetto per chi ci ha preceduto e per l’esperienze che ci ha tramandato.
Inoltre c’è l’elogio dell’amicizia, a cui l’autore ha dedicato la vita…
Ma soprattutto, emerge quella voglia di distacco dal caos, nel quale siamo immersi quotidianamente, un elogio della “semplicità contadina”, di chi cerca “il sapore vero” delle cose e dei rapporti umani.
Alla fine della lettura, viene voglia… di essere invitati a cena dall’autore!
Per ascoltare altre storie, sì, ma anche per raccontarsi senza maschere, come non siamo più abituati a fare, nella consapevolezza di ricevere attenzione, perché: “uno che scrive in questo modo, è una persona abituata all’ascolto”.
E allora, viene anche voglia di gustare quelle ricette, buttate lì con dovizia di particolari, come solo chi rispetta la cucina, sa fare… ma soprattutto, viene voglia di brindare insieme, con quel Rosso di Mongiovino, che a prescindere dalla “magia della storia”, è il frutto di sacrifici, attenzioni e passione, che donano, ai palati ed al cuore di chi lo assapora, una gioia particolare.
Michele La Ginestra